Una
ricetta di sicura origine rinascimentale è la
Farinata di cavolo nero, nota per un certo periodo
anche col nome di Minestra Medicea, percè pare che
lo stesso Lorenzo di questa pietanza fosse
ghiottissimo. In realtà la farinata è una
preparazione gastronomica conosciuta in tutta la
Toscana, molto diffusa tuttora nell’area Pratese, ed
anche se presuppone quella conoscenza di base in
fase di graduale smarrimento non può considerarsi
per niente preziosa, né difficile da eseguire. Gli
ingredienti sono semplici ed essenziali, ma la cura
che esigono si impone scrupolosa a cominciare dalla
loro scelta consapevole sui banchi della bottega.
L’olio, che deve essere del migliore: uno di quei
nettari aurei del Carmignano è l’ideale. Poi le
cipolle non devono bruciare la lingua, quindi il
cavolo, ben pulito e integro nelle sue foglie e
infine la farina di qualità “bramata”: per avere la
giusta consistenza il risultato migliore. La cottura
a fuoco lento è la “condicio sine qua non”, a
cominciare dalla rosolatura delle cipolle cui si
uniscono due peperoncini, proseguendo con la
soffrittura del cavolo per almeno cinque minuti.
Quando tutti gli ingredienti saranno ben appassiti
si aggiunge un paio di bicchieri d’acqua calda per
non arrestare il processo in atto che prevede
infatti di continuare a cuocere sempre a fuoco
bassissimo per quasi un’ora. E ora arriva il momento
clou: sbagliare significa far formare dei grumi
pregiudicando la buona riuscita del piatto. La
farina gialla va buttata in pentola piano, piano,
mescolando con attenzione di continuo fino a
definitiva cottura, se necessario bagnando in modo
parsimonioso con acqua per evitare di fare asciugare
troppo il composto. Dopo una ventina di minuti si
porta in tavola e si condisce nella zuppiera von un
filo di olio crudo e, a piacere, con una spolverata
di parmigiano. |